Oggi è la terza domenica di Avvento, la domenica “Gaudete”, domani inizia la Novena di Natale. E oggi, caro Gabriele, la nostra Chiesa gioisce con te e con tutti quelli che ti vogliono bene: diventi prete e si apre per te e per la nostra Chiesa “un sentiero e una strada e la chiameranno via santa”. Desidero allora condividere con te e con tutti, in semplicità, condividere alcuni piccoli pensieri sulla gioia. La gioia del vangelo, la gioia del prete, la tua personalissima gioia. Perché “la gioia del vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù” (EG n 1), ma è un po’ come la porta stretta del vangelo: sagomata per ciascuno di noi, e bisogna passare proprio di lì, per fare esperienza della perfetta letizia che nessuno ci può togliere.
Bisogna passare per la nostra umanità, perché il prete “non è fatto di un legno diverso da quello di cui tutti sono fatti. Egli continua a condividere la sorte dell’uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori (Rahner). Ma la nostra umanità, che (per fortuna!) non viene cancellata, diventa lo spazio della grazia e del sogno di Dio in noi…
Tre spunti di riflessione, allora. E’ innanzi tutto gioia contemplativa. E’ la gioia di Giovanni che dal carcere contempla, quasi incredulo e stupito, il compiersi, in Gesù, del sogno di Isaia: “si apriranno gli occhi dei ciechi, griderà di gioia la lingua del muto, ai poveri è annunciato il vangelo”. Ti invito, allora, a chiedere in dono lo sguardo di Maria, che riconosce in sé e nella storia l’opera di Dio: “ha fatto grandi in me tutte le cose, ha reso giustizia ai suoi poveri”. La “prima cosa da fare”, allora, caro Gabriele, è guardare in alto e in profondità, dentro e fuori di te, per fare memoria grata della tenerezza di Dio che mai, in questi anni, ti ha tradito, e rende oggi la tua umanità, così com’è, pienamente capace di annunciare la bella notizia che Gesù è Risorto e che la vita ha un senso e uno scopo. Perché questo innanzi tutto il prete è: testimone di Gesù Risorto.
Ecco allora il secondo tratto della gioia del vangelo: è gioia trafficata. Perchè la vita non può essere protetta o trattenuta, ma va lanciata, come il boomerang (so che l’immagine ti piace…). Il clericalismo, la pigrizia, le parole vuote sono la tentazione di tutti noi, ma non ci danno gioia. Nel donare con generosità la nostra vita facciamo invece esperienza di un ministero generativo, che ci libera dalla “stanchezza di noi stessi” e dalla “tristezza dolciastra” (Francesco): un ministero chiamato a generare legami e percorsi, in una Chiesa che così diventa davvero “una rete di relazioni fraterne fondate sul vangelo” (Martini).
Di qui, il terzo e ultimo tratto della tua/nostra gioia: sarà una gioia condivisa. Nel popolo di Dio, certo, perché anche da preti si rimane discepoli per sempre, fratelli tra fratelli. Ma a partire -e sai che lo considero una priorità per la nostra Chiesa di Savona- dal presbiterio. Perché non esiste futuro per un prete che vive la propria vita nell’isolamento autoreferenziale; e non solo per ragioni “di opportunità” (perché siamo rimasti in pochi…), ma per ragioni teologiche, che il Concilio ci ha fatto ricoprire.
Siamo tutti diversi fra noi, e anche fragili, ma siamo (per grazia e non per ragioni di sangue!) fratelli; non lo abbiamo scelto, ma a questo ci chiama il Signore: “la fraternità nel presbiterio non è allora innanzi tutto un impegno morale, ma comporta originariamente un atto di fede”, come dicevo nella Messa del Crisma, nel 2017. Questa consapevolezza ci chiama tutti a imparare uno stile (una maniera di abitare il mondo e la Chiesa!) fatto di mitezza, di riconoscimento reciproco, di gioia per le differenze e condivisione dei doni di ciascuno, di perdono. È un cammino da percorrere insieme, nonostante le fatiche. Diventeremo così davvero discepoli, e Tu, Gabriele, ci aiuterai a diventarlo. “Perché le parole non sono fatte per rimanere inerti nei nostri libri, ma per prenderci e correre il mondo in noi” (Madeleine Delbrel)
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