Le restrizioni imposte dalla pandemia ci invitano a celebrare questa Eucaristia non al Cimitero, ma qui, in Cattedrale. Accolgo questo inevitabile condizionamento come occasione propizia per il suffragio di tutti i morti della Diocesi, da Finale a Cogoleto. Siamo qui a pregare insieme perché tutti siano accolti nell’abbraccio di Dio che è il Paradiso.
I testi appena ascoltati ci colpiscono molto, perché parlano di speranza, e non di morte! E ci sembra strano, perché la morte l’ha fatta da padrona, in questo anno terribile. E anzi il virus ci ha come costretti a pensare di nuovo la morte: l’avevamo rimossa, anche perché la narrazione della pubblicità ci ha sempre mostrato uomini e donne giovani e belli, quasi incapaci di ammalarsi…Il virus ci ha costretti a tornare alla verità della vita!
Ma i testi ci invitano a guardare alla vita nella sua profondità e apertura. Dalla morte rimossa, alla morte onnipresente in questi mesi, alla morte che si apre alla speranza di non morire: questo il percorso del pensiero e della preghiera.
“La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. E nelle parole di Paolo si compie il grido di Giobbe: “io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere”. E abbiamo conosciuto la volontà di Dio, secondo le parole di Gesù: che nessuno si perda per sempre.
Raccolgo solo un invito per noi: non accontentiamoci di una speranza troppo piccola, ridotta a ottimismo (che la pandemia finisca presto) o a nostalgia (il ricordo dei nostri morti). Per il credente, la speranza non si accontenta, e si fa’ preghiera: perché sappiamo che la morte non è la fine e perché confidiamo in un Abbraccio più grande di ogni peccato e accogliente, nella misericordia, per ogni cammino.