Non c’è niente di trionfale in questa celebrazione, con la quale iniziamo qui, in Cattedrale, il cammino della Settimana Santa. Soltanto pochi mesi fa, non avremmo immaginato una Pasqua così.

Eppure, forse, proprio questo tempo difficilissimo ci può aiutare a cogliere la verità di questa celebrazione: il destino di passione e morte nel quale si compie di cammino di Gesù. Proprio la folla che lo acclama griderà, pochi giorni dopo, “sia crocifisso!”.

E allora è il testo di Paolo che ci aiuta a rispondere alla domanda della grande città, Gerusalemme, che si chiede: “chi è costui?”. Così Paolo, dal carcere: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini…Facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.

Paolo contempla la verità di Gesù mentre è in catene, “prigioniero per Cristo” (Fil 1, 13). Sembra che proprio questa sua condizione di prigionia renda il suo sguardo più profondo.

E allora forse da qui viene una parola anche per questa nostra Pasqua strana, che è Pasqua di esilio e di svolta.

Di esilio, in assenza  di una celebrazione festosa, con tanti bambini a gridare “osanna” con i rami d’ulivo in mano, e nella impossibilità, per il popolo fedele di Dio, di ricevere Gesù nel segno del Papa e stringere mani, di abbracciarci…

Ma anche di svolta. Se sapremo ascoltare questo tempo. Se diventeremo “capaci di sostenere l’esperienza dell’affidamento a un senso che pure, in questi giorni drammatici, non riusciamo a cogliere” (Magatti). Se impareremo a perseverare nella fedeltà, anche quando “colui che dobbiamo amare è assente” (Weil), o prega con il salmo: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Se sarà così, scopriremo che questo tempo strano contiene in sé “una bellezza da custodire, una grazia da coltivare, un destino eterno da riscoprire”, come scriveva un prete in questi giorni.

E sarà l’occasione, per ciascuno di noi, di conversione e di un cammino più vero