Savona. Francesco Cotta è diventato presbitero. L’ormai ex diacono transeunte 45enne genovese è stato ordinato sacerdote da monsignor Calogero Marino con la messa di ieri, 28 aprile, nella Cattedrale Nostra Signora Assunta. Con un decreto il vescovo lo ha nominato vicario parrocchiale della Santissima Annunziata a Spotorno, dove già ha svolto il suo ministero proprio come diacono. Il neosacerdote celebrerà le sue prime messe domenica 5 maggio alle ore 11 a Spotorno, il 12 maggio alle 9 nell’Oratorio Santissima Annunziata sempre a Spotorno, il 19 maggio alle 11:30 in San Paolo Apostolo a Savona e il 26 maggio alle 11 in San Lorenzo Martire a Quiliano.

“Devo ancora ‘realizzare’ bene di essere stato ordinato sacerdote – ha detto il presbitero – Provo gratitudine per un percorso che oggi si è chiuso ma nello stesso tempo consapevolezza che questa giornata è un nuovo inizio. Come mi diceva il vescovo, ora devo imparare a diventare pane spezzato per gli altri, giorno per giorno, e questo è il dono che Dio mi ha fatto per la mia vita. Sono tanti coloro ai quali dico un grande ‘Grazie!’: sono persone che mi hanno sostenuto in questi anni, a partire dalla mia famiglia e arrivare al vescovo e ai sacerdoti che ha voluto affiancarmi. È stato emozionante rivedere amici di vecchia data intorno a me!”.

“Pasqua è il tempo giusto per diventare preti, del resto lo è per tutti i sacramenti – ha detto invece monsignor Marino nell’omelia – In questo giorno di grande festa mi piace raccogliere l’immagine della vite e dei tralci e il gesto di Barnaba che prende con sé Saulo. La prima è vitale ed eucaristica. Essere cristiani significa ritornare nel cenacolo per trarre ispirazione. Oggi quest’immagine ci guida, con il verbo ripetuto ‘rimanere’, come tralci attaccati alla vite. È la linfa, il dono dello Spirito, che ci unisce alla vite. L’Eucaristia non è semplicemente un rito ma dice il segreto di una vita donata, la vita di Gesù”.

“Rimanere in quella vita, in quel segreto, significa fare anche noi, come Gesù, dono della nostra vita. Solo così portiamo frutto – ha proseguito – Lo ripete più volte: ‘Rimanete in me e io in voi. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto’. Il reciproco rimanere è l’unica condizione del portare frutto. Il verbo “rimanere” ha tante declinazioni nella vita di ciascuno di noi: non vuol dire ‘forza muscolare’, ‘rimango lì quando me ne vorrei andare’, bensì perseveranza, fedeltà, intimità. Qualche volta abbiamo l’idea di una Chiesa sempre in movimento, affaccendata, come fossimo un’azienda che deve produrre. Invece c’è uno ‘stare’, come Maria e il discepolo amato stavano ai piedi della Croce”.

“C’è anche un gesto che mi ha molto colpito: il gesto così bello di Barnaba, un gigante della prima Chiesa – ha aggiunto – Barnaba prende con sé Saulo, lo conduce dagli Apostoli e racconta loro come aveva visto il Signore, che gli aveva parlato. È il gesto della custodia, dell’accompagnamento, della cura. Dice il testo che ‘tutti avevano paura di Saulo, non credendo che fosse un discepolo’. Ecco la bellezza del gesto di Barnaba: prende con sé colui del quale tutti hanno paura, potremmo dire quasi paradossalmente il nemico, lo sconosciuto, l’estraneo. È questa la postura giusta del prete: prendere con sé tutti, i vicini e i lontani, gli amici e coloro dei quali abbiamo paura”.

“Sempre più sono convinto che ‘accompagnare’ sia il verbo fondamentale della vita del prete – ha concluso il vescovo – Il prete non è innanzitutto chiamato a predicare, fare, agitarsi ma ad accompagnare i fratelli e le sorelle che anche oggi cercano il Signore, magari inconsapevolmente, senza pensarci. Penso ai giovani. Qualche volta siamo noi che pretendiamo di essere accompagnati. Il carisma del prete non è questo ma accompagnare all’incontro con Gesù. ‘Rimanere’ e ‘accompagnare’ sono due verbi profondamente pasquali, generativi, vitali, primaverili, che aprono al futuro”.

Rimanere e accompagnare
L’omelia del vescovo Calogero Marino

Diocesi di Savona-Noli