Prende forma il progetto di far ripartire, in una modalità nuova, i “martedì del porto” che avevano avuto, nei locali della Stella Maris di Savona, il compianto don Giampiero Bof come animatore principale. L’occasione della ripartenza è offerta dall’incontro che si avrà martedì 23 novembre, alle ore 17,30 nella sala multimediale Stella Maris, con il giornalista ed ex sindaco di Finale Pier Paolo Cervone per l’uscita del suo libro “La grande Guerra dai nostri inviati”, edito da Mursia con la prefazione di Domenico Quirico.
“Il giornalismo di guerra è necessario: non possiamo vivere immersi nel buio. Le guerre senza testimoni sarebbero un mondo di ciechi, sottomessi ai capricci di coloro che vedono”, afferma Domenico Quirico, che ha scritto parole di luce sulle guerre moderne e che firma quelle della prefazione del libro di Cervone.
Il giornalismo di guerra muove i primi passi nella guerra di Crimea e in quella civile americana, ma il vero debutto è con il primo conflitto mondiale. Anzi, secondo Cervone, di Grande Guerra almeno in Italia s’inizia a scrivere prima ancora che per noi inizi: lo scontro, in questo caso, è intellettuale e politico, con il fronte degli interventisti guidato dal Corriere della Sera, con il direttore Luigi Albertini in contatto con il gruppo che ha voluto la guerra – da Antonio Salandra a Giovanni Amendola -, l’ha propagandata – Gabriele D’Annunzio -, e l’ha fatta – Luigi Cadorna. “Il ruolo dei giornali nel trascinare l’Italia verso il conflitto è stato determinante”, scrive l’autore. Oltre al Corsera, tra le testate interventiste più influenti ci sono la Gazzetta del Popolo, il Resto del Carlino, il Roma, il Secolo XIX, il Gazzettino, il Messaggero.
Sul fronte opposto, filo giolittiano e dunque neutralista, c’è La Stampa di Alfredo Frassati, almeno sino al 1915, quando col titolo in stampatello maiuscolo “TUTTI UNITI” cambia trincea. Da qui in poi, il racconto si fa corrispondenza. L’autore, con l’aiuto del collega Pier Luigi Roesler Franz, aggiorna il conto dei giornalisti italiani caduti nella Grande Guerra: 176. Le ultime pagine sono per le vittime in extremis di quella carneficina da 10 milioni di morti, come l’impiegato di banca americano Herny Gunther, soldato semplice, schierato nella Mosa, che muore un minuto prima del cessate il fuoco: non c’è il suo nome nei libri di storia, ma qualche giornalista di sicuro ne ha scritto.