La messa del crisma nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Savona

La nostra celebrazione si pone quest’anno all’incrocio di molti cammini ecclesiali: la recezione del Sinodo diocesano e la visita pastorale; il cammino sinodale delle Chiese in Italia; la conclusione e il documento finale del Sinodo dei Vescovi; il Giubileo della speranza. Il rischio della dispersione è grande ed evitarlo ci chiede di trovare nelle sillabe preziose delle Scritture in filo che dia unità alle tante, forse anche troppe cose di questo tempo. Abbiamo appena ascoltato le parole di Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato”.

Seguono quattro verbi che indicano con chiarezza la missione di Gesù. Mi fermo sul quarto, “proclamare l’anno di grazia del Signore”, perché – citando Isaia – si riferisce all’anno giubilare dell’antico Israele, di cui dà conto il libro del Levitico. Ci è dato un tempo: questa la bella notizia di questa sera. Un tempo giubilare e sinodale. Un anno di grazia e quindi un tempo favorevole, un tempo buono. Un kairos, per usare il greco del Nuovo Testamento. La bella notizia è che c’è tempo e che Dio ha tempo per noi.

Allora chiedo a me e a voi: come vivi il tuo rapporto con il tempo? Hai tempo per te, ti regali un po’ di tempo per stare con il Signore e con i fratelli e le sorelle? Magari per visitare un malato o stringere la mano ad un povero? Lo chiedo anche ai ragazzi che sono qui: come vivi le tue giornate, sempre tanto piene, tra scuola, parrocchia, impegni sportivi? Non abbiate paura di fermarvi ogni tanto e di sostare! È quanto ci chiede il Giubileo: un tempo per ritrovare speranza. Il Giubileo non ci chiede prestazioni faticose: ci chiede soltanto di regalarci un tempo per ritrovare speranza. Dal tempo che manca, per le troppe cose da fare, al tempo ritrovato: è la grazia che chiedo al Signore per me e per ciascuno di voi in questi giorni di Pasqua.

In fondo lo sappiamo: il problema non è innanzitutto la quantità delle cose ma il cuore con cui le facciamo. Allora provo a raccontarvi qualcosa del tempo della visita pastorale, anche perché molti mi chiedono: “Come sta andando la visita?”. Sono a metà strada: ho incontrato le comunità delle Vicarie di Savona e di Vado (l’anno prossimo incontrerò le Vicarie di Levante e di Ponente). Vi dico che sono contento, perché ho incontrato le nostre comunità nella loro verità, fatta – come del resto ogni cosa – di luci e di ombre, di pieni e di vuoti.

Ho incontrato molti di voi che siete qui questa sera. Ho incontrato soprattutto alcuni malati, in case che mi sono sembrate santuari domestici della Chiesa. È l’esperienza che più mi ha dato gioia e mi ha fatto pensare, perché chi è più fragile e magari è invisibile è come la chiglia della barca, che non si vede ma ci fa prendere il largo; proprio per questo merita le attenzioni maggiori. In alcune case ho unto alcuni malati con l’olio santo, l’olio della consolazione e della speranza ed è stata una grazia anche per i familiari e per me. Chiedo con forza ai confratelli presbiteri: mettiamo l’attenzione ai malati e ai fragili al centro della nostra agenda pastorale!

I giovani sono presenti nelle nostre parrocchie e zone un po’ a macchia di leopardo: in alcune parrocchie ci sono – vivaci e bellissimi! – in altre sono meno presenti. Pochi vengono alle celebrazioni. Sono però presenti nelle associazioni laicali, in particolare in AGESCI e Azione Cattolica, che sono nella nostra diocesi realtà vive e preziose. Con i giovani dovremo con coraggio attuare quanto ci chiede il nostro Sinodo: aprire luoghi di aggregazione non necessariamente parrocchiali e a bassa soglia di entrata “che possano accogliere, liberamente e quotidianamente, i giovani: siano spazi per socializzare, giocare, fare musica e riflettere insieme, con una responsabilizzazione dei partecipanti nella loro gestione” (n. 110). Il cammino formativo diocesano dal titolo “I giovani, questi (s)conosciuti” mi sembra un segno importante di attenzione e di pensiero.

La visita pastorale, alla luce di quanto vi ho detto, ci chiede di vivere con passione e senza paure questo tempo sinodale. Poche settimane fa abbiamo celebrato la seconda sessione del Sinodo italiano; mi sono sembrati giorni preziosi, importanti anche per noi: abbiamo avuto il coraggio di non chiudere il cammino sinodale, perché il testo proposto non ci è sembrato soddisfacente, e di ritrovarci ancora, ad ottobre. Il documento finale del Sinodo dei Vescovi – che dovremo studiare con cura! – ci ricorda peraltro l’unica vera ragione del nostro essere Chiesa: “testimoniare al mondo l’evento decisivo della storia: la risurrezione di Gesù” (n. 14). Nessun Sinodo e nessuno di noi lo può dimenticare!

Questo tempo sinodale non ci chiede allora di affannarci in tante cose: come il Giubileo, dev’essere un tempo di grazia del Signore. Condivido con voi al riguardo quanto scrivevo in tempo di Covid, perché mi sembra ancora attuale: “Siamo chiamati dal futuro a sognare e costruire comunità concrete (senza preoccuparci troppo dei numeri!) che mostrino la bellezza del vangelo e la sua praticabilità: non una Chiesa di puri ma una pura immagine di Chiesa (Michele Do). Comunità dove l’umanità fragile di ciascuno sia riconosciuta e ospitata (la Chiesa come convivialità delle differenze, diceva don Tonino Bello), dove ci sia spazio per le esperienze reali della vita (il nascere e il morire, l’innamorarsi e il metter su famiglia, il lavoro e la festa…), dove si stia insieme in semplicità, tutti discepoli dell’unica Parola” (lettera pastorale “La vera gioia”, pp. 8 e 9).

Ci è chiesto però di essere coerenti e rigorosi, attuando Consigli di zona realmente partecipati e operanti. Cito un teologo savonese, Andrea Grillo: perché si configuri davvero il volto di una Chiesa sinodale missionaria “occorre che il soffio dello Spirito non resti catturato e chiuso in pratiche vecchie e in stanze con aria viziata ma esca all’aria fresca della comunità ecclesiale plenaria, non preventivamente selezionata mediante quelle opposizioni escludenti (clero/laici e uomini/donne) che frustano a priori ogni vera condivisione”.

Questa sera non ci sono riuscito come avrei voluto a coinvolgere nella celebrazione e nell’omelia i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze qui presenti ma una Chiesa sinodale missionaria dovrà dare parola anche a loro. Battezzati come gli adulti e i giovani, sono consacrati con l’olio dei catecumeni e con il santo crisma e non sono il futuro ma il presente della nostra Chiesa. Per loro celebro questa Eucaristia. Ci regaliamo qualche momento non frettoloso di silenzio, per affidare all’abbraccio tenerissimo di Maria il ministero di papa Francesco e il cammino della nostra Chiesa.