Celebriamo con gioia e commozione, in un tempo ancora difficile, la Messa del Crisma, facendo memoria grata della nostra vocazione, che è per tutti, anche se in forme e con cammini diversi, conformazione a Lui, l’Unto del Signore. Emerge così il volto della nostra Chiesa, che è come “un mosaico fatto di molte tessere colorate, tutte indispensabili per la bellezza dell’insieme. La varietà delle vocazioni, dei carismi, delle forme di vita che arricchisce la nostra Chiesa è infatti un dono grande di Dio, del quale non sempre siamo consapevoli e grati” (dalla lettera pastorale Una zolla del Regno).

Ed è bello, per noi preti, in questa celebrazione così gioiosa, perchè è memoria della nostra Ordinazione e del dono che il Signore ci ha fatto di poter presiedere ogni giorno l’Eucaristia, essere non da soli, ma con voi, anche se in pochi, per la necessaria prudenza alla quale il virus ci invita, non fuori ma dentro il popolo di Dio.

Vi  richiamo, carissimi presbiteri,  quanto ci siamo più volte detti, in questi anni: il Signore ci chiama a vivere non da padroni, ma da discepoli dell’unica Parola; a non pensarci come presbiteri isolati e autoreferenziali, ma come presbiterio di fratelli; a non diventare gestori di cose sacre, ma pastori con l’odore delle pecore e il profumo di Cristo…Siamo chiamati a confidare nel Signore, che non abbandona la sua Chiesa e a pregare il Signore “perchè mandi operai nella sua messe” (Lc 10,2). Come già proposi  tre anni fa, vi chiedo “un attimo di preghiera silenziosa. Chiedo a voi preti di ricordare i volti e i nomi di chi vi è affidato, e che magari faticate ad amare, e a voi, religiosi e laici, chiedo di ricordare i vostri preti, anche nella nostra miseria e fragilità” (dalla omelia per la Messa del Crisma del 2018).

Ecco: proprio questo pregare gli uni per gli altri sarà il grembo dal quale dovrà nascere l’avventura del Sinodo come esperienza spirituale. Senza questo grembo della reciproca custodia nella preghiera, il Sinodo sarà soltanto un “addomesticare le cose…Fare calligrafia, tutto perfetto. Ma questo sarebbe il peccato più grande di mondanità e di spirito mondano anti-evangelico. Non si tratta di “risistemare”…Perchè per essere un sinodo…ci vuole lo Spirito Santo; e lo Spirito Santo dà un calcio al tavolo, lo butta e incomincia daccapo. Chiediamo al Signore la grazia di non cadere in una diocesi funzionalista” (Francesco alla Diocesi di Roma, 9/5/2019).

Ma per vivere così la nostra esperienza sinodale, ci vorrà coraggio. Offro a me stesso e a voi, brevemente, tre volti di questo coraggio, sui quali vi invito a riflettere.

Il coraggio di lasciarci cambiare dall’incontro con l’altro. E’ la precondizione che fin d’ora mi sento di chiedere a chi farà parte della Assemblea sinodale (ma poi, certo, non solo a loro, ma a tutti noi!). So di ripeterlo spesso, ma sento molto questo tema: saremo una Chiesa sinodale solo se ciascuno di noi saprà ascoltare l’altro riconoscendolo come portatore di doni, e se da questo ascolto si lascerà modificare. Stiamo riprendendo in mano, in questo tempo sinodale,  gli Atti degli Apostoli, che tratteggiano la fatica e la bellezza del reciproco ascolto e dell’ascolto del mondo, che hanno reso bello e fecondo il cammino della prima  Chiesa; perché gli Atti non sono un semplice libro di storia, volto al passato, ma sono soprattutto un libro profetico: “il sogno di una Chiesa ancora e sempre possibile” (Chialà).

“E’ vero: l’altro ci scomoda sempre. Perchè il suo esserci apre una ferita-feritoia alla nostra supposta autosufficienza. Eppure, la logica moderna dell’immunitas -tenere l’altro a debita distanza- rimane insoddisfacente. Socialmente, perché non sa ricreare le ragioni dello stare insieme, esistenzialmente, perché l’uomo non può vivere senza affezionarsi” (Magatti), ed ecclesialmente, perché la Chiesa è ontologicamente una fraternità.

Ma questo ascolto chiederà sempre più alla nostra Chiesa di “lasciare il proprio terreno per mettersi sul terreno dell’altro” (Carrara), imparandone i linguaggi e le domande di senso, anche quelle silenziose o per noi difficili da capire. Siamo chiamati a “dire nel linguaggio di tutti ciò che il mondo non sa dire” (Collin): a praticare le parole di tutti per dire a tutti una Parola che viene da Altrove!

Perchè Sinodo è essenzialmente ascolto dell’altro, riconosciuto come mio fratello e compagno, proprio nella sua irriducibile differenza.

Il coraggio di pensare il futuro. Che vuol dire, concretamente: pensare/sognare la nostra Chiesa, per consegnarla bella e abitabile a chi verrà dopo di noi. E’ la vocazione tipica dell’adulto, del padre: lasciare qualcosa di vivo in eredità, affinché i figli possano modificare e riplasmare l’eredità ricevuta; possano, se lo vorranno, farla propria. Perchè “la tradizione, che trae origine dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo”. E la Chiesa “tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa giungano a compimento le parole di Dio” (DV 8).

Ci è chiesto di non aver paura del futuro e di accogliere il dimagrimento che viene chiesto alla Chiesa in Italia (e quindi anche a Savona!) come opportunità per ritrovare il vangelo, e non come sventura da allontanare con piccole strategie di sopravvivenza! E’ finita da un po’ la cristianità (anche se lo abbiamo capito con ritardo), ma il seme del vangelo è vivo e fecondo. Perchè, “nel più profondo del suo desiderio, l’umanità ha fatto alleanza con il vangelo. Estirpatelo, un giorno, quando non ve l’aspettavate più, rinascerà. Perché l’umanità non accetterà mai di essere senza speranza” (Tillard).

Il coraggio di confidare. Perchè qualche volta pensiamo, come Erode persecutore di Gesù, di poterci salvare con le strategie mondane del controllo (ricordate gli avverbi di Erode: segretamente, con esattezza, accuratamente…). O magari cerchiamo di costruire magazzini più grandi, come quel ricco della parabola, al quale Dio dice: “stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita” (Lc 12,20).

Sono strategie perdenti, perché solo confidando in una Parola che viene da Altrove potremo “prendere il largo”. E’ solo l’unzione dello Spirito che permetterà alla nostra Chiesa di abitare questa transizione difficilissima. Per questo, adesso, verranno consacrati gli oli:  per dare consolazione e forza ai passaggi decisivi della vita di ciascuno di noi e della nostra Chiesa. E un Sinodo senza unzione sarebbe soltanto una fatica in più e un aggiustamento, forse nemmeno efficiente, di una Chiesa ridotta ad azienda.

Il coraggio di confidare, vi dicevo. Voglio allora concludere con una parola bellissima, scritta da Dietrich Bonhoeffer in giorni molto più drammatici dei nostri: “eppure tu respiri, e deponi ciò che è giusto in mani più forti, e ti riposi”. E’ il desiderio che ho per me e per ciascuno di voi.