La messa di ringraziamento per l’elezione di Leone XIV

L’omelia del vescovo Calogero Marino
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Le pecore ascoltano la voce del pastore. Egli chiama le sue pecore ciascuna per nome, le conduce fuori e cammina davanti ad esse. Le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. È la settimana del Buon Pastore. Già ieri abbiamo ascoltato un piccolo brano del Vangelo di Giovanni. In questa quarta settimana del tempo santo di Pasqua sappiamo che ogni anno siamo invitati a contemplare il volto e lo stile del Dio pastora e di Gesù. Solo Gesù è il pastore, è lui che conosce le pecore, le chiama per nome, cammina davanti ad esse e le conduce verso pascoli verdeggianti.

Chi sono i pastori? Chi è il vescovo di Roma, il papa? Sono coloro che sono chiamati ad insegnare l’unico pastore che è Gesù. Il verbo “insegnare” sta per “fare il segno”, “indicare”. I giornali parlano di cosa farà Leone XIV da papa ma il programma è già tutto qui. Il Papa, come tutti i pastori, i vescovi e ogni prete, deve fare una sola cosa: insegnare Gesù, parlare di Lui, raccontare chi è, raccontare il Buon Pastore. Ecco cosa chiediamo a papa Leone, per questo preghiamo per lui, perché in vita, opere, parole e gesti parli di Gesù, indichi l’unico pastore.

I vescovo, i preti, i papi sono soltanto insegnanti, “fanno il segno”, indicano Gesù e questo Leone ce l’ha detto con estrema chiarezza fin dalla sera della sua elezione, quando ci ha salutato con il saluto della pace. Ci ha detto che quello è il saluto pasquale di Gesù risorto: “Pace a tutti voi!”. Ha fatto esattamente quello che ha fatto Gesù! Questo è il programma di ogni papa: fare e dire quello che ha fatto e detto Gesù. Siamo molto felici perché in queste prime ore, questi primi giorni del suo pontificato Leone XIV sta facendo esattamente questo, sta narrando Gesù.

È imparando da Gesù che Leone imparerà a fare il papa. C’è un legame indissolubile tra il pastore e le pecore: il pastore non può vivere senza le pecore. In una cultura segnata dalla pastorizia le pecore sono per il pastore l’unica fonte vera del sostentamento ma anche le pecore non possono stare senza il pastore perché le rapiscono o il lupo le sbrana. Le pecore hanno un campo visivo abbastanza limitato, vedono poco, così dicono gli esperti, però sentono bene la voce del pastore, la distinguono. Ecco cosa auguriamo a papa Leone: che sia sacramento e segno visibile dell’unico pastore che è Gesù.

Nel Vangelo di Giovanni la figura del pastore si confonde con il guardiano che apre la porta. Gesù dice “Io sono la porta delle pecore” e che se uno entra attraverso di Lui “entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Mi piace molto questa immagine della porta perché dice apertura. Ecco cos’è chiamato a fare il pastore: aprire le fonti della vita e le porte a Cristo. Ieri papa Leone, echeggiando Giovanni Paolo II, l’ha detto ai giovani parlando delle vocazioni: “Non abbiate paura, aprite a Cristo le porte del vostro cuore”.

Il vescovo di Roma ci chiede di passare per la porta che è Gesù ricordando che invece ci sono tante porte chiuse nel mio, nel nostro cuore. Lo dico in tempo di Giubileo, andremo a Roma e passeremo per le Porte Sante ma, permettetemi, non è quella la cosa più importante del Giubileo, è invece convertirci al Signore Gesù. La porta è solo un segno di questa conversione: passare per la porta che è Gesù, incontrare Lui. Questo ci chiede il Vangelo di oggi.

Il testo degli Atti degli Apostoli di oggi ci parla del primo vescovo di Roma: Pietro. Ricordiamo che Leone XIV, così come ogni papa, è successore del primo papa, ossia Pietro. Pietro ha fatto ciò che nei dodici anni del suo ministero ha fatto Francesco in parole e opere: ha aperto. Pietro, senza essere subito capito, apre anche a Cornelio la porta della fede. Anche in casa di Cornelio scende lo Spirito. Richiamando la centralità di Cristo e la conversione a Lui papa Leone XIV ha detto che Cristo è quella luce alla quale tutti sono chiamati, anche i pagani del nostro tempo. La vita cristiana è l’esperienza dell’incontro con il Risorto.

Leone l’ha detto ieri: si può essere teoricamente credenti e praticamente atei. Questo è il grande rischio: ridurre il cristianesimo ad una tradizione culturale e le nostre chiese ad un grande museo o una piccola azienda. La Chiesa non è né un museo né un’azienda, è la fraternità dei discepoli che seguono il pastore buono che è Gesù. Questo vale per tutti, anche i pagani di oggi, il pagano che magari sono io o siamo noi, i tanti che, come Cornelio, anche oggi cercano il Signore. Dobbiamo avere uno sguardo benevolo, fiducioso verso il mondo di oggi, perché il Signore continua a chiamare. Nei giorni del conclave, con quella folla in piazza san Pietro, ce l’ha fatto intuire: c’è un’attesa di senso, di speranza, di luce nel cuore della gente.

L’obiettivo è quello bellissimo dell’ultima riga degli Atti e del Vangelo, in cui è ripetuta la stessa parola. Gli Atti dicono: “Anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita”. L’ultima riga del Vangelo è “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Per questo esiste il Papa: per parlare di Gesù, per insegnare Gesù affinché tutti, ciascuno di noi, possiamo avere la vita e averla in abbondanza. In questo passaggio d’epoca sento il tema della vita assolutamente decisivo, una vita abbondante, che è il sogno di Dio per ciascuno di noi.

Siamo chiamati a non chiuderci in un piccolo quadratino, in un’abitudine stanca e un po’ noiosa, ma a cose larghe, aperte, abbondanti. Mi piacciono queste parole che forse anche l’uomo del nostro tempo può capire. Una vita così abbondante da dare senso anche al dolore e, per pura grazia, da inghiottire perfino la morte. Questa è la vita che il vescovo di Roma deve annunciare a ciascuno di noi e al mondo.