“Questo è il mio corpo, che è per voi…Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue…Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (I Cor 11,24-26).
Queste parole di Gesù, dette agli amici alla vigilia della sua morte, sono come il suo testamento, e ci aiutano a intra-vedere il dramma della Cena, il dramma dell’Eucaristia: è l’alleanza nuova sigillata del sangue. Lo ricorda con parole simili un altro testo della tradizione paolina: “voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo” (Ef 2,13).
E’ importante il riferimento al sangue, che riprende anche il testo dell’Esodo, perché ci parla di una
alleanza a caro prezzo. E ci dice che l’Eucaristia è memoria di una vita donata per amore, senza nulla trattenere. E’ il Signore, il Re che depone le vesti e lava i piedi a chi lo tradisce. E’ il Dio fatto pane, che diventa nutrimento.
L’Eucaristia è l’esatto contrario di una religione “a bassa intensità”, che finisce per essere solo un “genere di conforto”. Chiede invece alla Chiesa (=a ciascuno di noi) di entrare a nostra volta nella logica della dismisura, dell’illimite: perché un dono misurato è soltanto una finzione, un inganno.
In Marco, il gesto della vedova povera che getta nel tesoro del tempio tutto quanto aveva per vivere ( gesto non a caso collocato negli ultimi giorni della vita di Gesù) è profezia di Gesù, che nulla trattiene sulla croce, ed è figura di quello che siamo chiamati a diventare, secondo l’invito di Gesù: “fate questo in memoria di me”.