Ringrazio di vero cuore il Signor Sindaco, anche per il saluto che ci ha rivolto (e mi piace esprimere qui la piena solidarietà mia e della Diocesi al progetto di Savona Capitale della cultura); ringrazio il Dottor Freccero, in rappresentanza del Prefetto, e tutte le Autorità che, con la loro presenza, dicono quanto sia significativa questa ricorrenza per tutta la Città di Savona; saluto i presbiteri, i diaconi, gli accoliti e i lettori, che sono segno visibile del volto ministeriale della nostra Chiesa, che proprio ieri ha concluso il cammino del Sinodo. Ringrazio le Confraternite e quanti hanno reso possibile e bello il nostro cammino di oggi.
Saluto il Consiglio della Confederazione delle Confraternite italiane e in particolare l’Assistente, S. E. Mons. Pennisi, che concelebra con me: grazie per essere venuti! Ringrazio soprattutto i malati e le persone con disabilità, che sono per noi la carne viva di Gesù. Mi piace portare il saluto di Don Michele, missionario in Centrafrica, che oggi si unisce alla nostra preghiera. Sono felice di essere con voi anche quest’anno: per ciascuno di voi celebro questa Eucaristia.
Il nostro incontrarci oggi esprime la memoria grata di quanto accaduto il 18 marzo 1536: Maria apparve quel giorno ad Antonio Botta e da quel giorno cominciò un cammino nuovo, che oggi ci coinvolge tutti. Un cammino aperto da Maria, nel segno della Misericordia. Ed è a Maria che voglio andare ancora una volta, per imparare da Lei la via del vangelo. È la grazia – che diventa responsabilità – offerta ad una Diocesi mariana come la nostra: imparare da Maria. E questo ci chiede di ascoltare – come se fosse la prima volta! – le sillabe preziose del vangelo, che mettono in viaggio Maria. Da Nazareth ad Ain Karim, dall’annunciazione alla visitazione.
Perché il cammino verso la montagna non è iniziativa di Maria ma risposta ad una chiamata. “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. E l’angelo si allontanò da lei. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1,38-39). Ecco le quattro componenti ineludibili dell’avventura di Maria:
- la parola chiamante
- la risposta obbediente
- lo spazio della libertà, che l’angelo dona a Maria allontanandosi da Lei
- il mettersi in viaggio, che diventa tempo di interiorizzazione e di verifica della chiamata.
Maria è così per noi figura di una Chiesa generativa, che nasce dall’ascolto. “Poiché ogni dono viene dall’alto dobbiamo sforzarci di riconoscere in noi la Parola: Cristo. Se diventiamo più consapevoli di questo dono guarderemo meno a noi stessi, ci riconosceremo “un niente” che per grazia può annunciare la bellezza di essere figli. La salvezza ci viene donata” (Sinodo diocesano, n. 1). Una Chiesa generativa impara allora da Maria a fare spazio alla Parola chiamante. Anzi, ancor di più: a diventare grembo che genera. Generata da Dio, la Chiesa diventa a sua volta grembo generante.
Come ho scritto nella Lettera con la quale accompagno il Libro del Sinodo, anche la Chiesa di Savona è chiamata a questo: a “ritrovare concretezza e capacità di generare alla fede e alla vita”; e cito, nella mia lettera, una teologa italiana, Lucia Vantini: “Parlare in lingua materna significa pretendere che nelle parole ci siano almeno un po’ le cose, credere che il sentire sia degno di espressione e aspettarsi dagli altri il bene”. Ma l’immagine luminosa del grembo generante della Chiesa è contraddetta, nella vicenda presente della nostra Chiesa, da una realtà che mi preoccupa e mi addolora, significata dal segno del Seminario vuoto. Ne parlo oggi, dopo averci pensato molto, non certo per rovinare la festa ma per senso di responsabilità. Il 28 aprile verrà ordinato presbitero Francesco Cotta, il nostro unico seminarista, e non si prevedono, per ora, ingressi.
Non voglio di sicuro cedere allo sconforto, né avviare reclutamenti improvvidi (quand’ero in Seminario, dicevamo, scherzando, che il Rettore faceva “caccia e pesca” di nuove vocazioni). Credo però che il segno del Seminario vuoto sia un segno dal quale lasciarci interpellare e da affidare al cuore di Maria. È un segno che contiene in sé una paradossale grazia: ci potrà aiutare a immaginare il volto di una Chiesa ricca di ministeri. Già ora, del resto, la nostra Chiesa mostra un volto plurale: catechisti, animatori della carità, lettori, accoliti; ma poi anche diaconi permanenti, religiose e religiosi… Perché il prete non è chiamato a fare tutto ma a raccogliere la propria vita attorno all’essenziale della propria vocazione: dedicarsi alla Chiesa particolare, perché sia reso possibile per tutti l’incontro con Gesù. Vi chiedo di pregare per noi preti, perché sappiamo essere testimoni credibili della bellezza della nostra vocazione!
Ce lo chiedono i giovani, in un testo bellissimo del nostro Sinodo: “Ogni scelta, e ancor più quelle che puntano al ‘per sempre’, ci fa sentire limitati. Ma in noi non si spegne la richiesta di felicità, di coerenza e di radicalità… Siamo attratti da una vita piena, da chi svolge un servizio con estrema dedizione, da chi ci interpella con la propria autenticità… Offrire la nostra disponibilità per essere ordinati diaconi o preti, o entrare in una fraternità religiosa, può dare nuove forme a tale sete radicale” (n. 100).
Sono parole giovani che danno speranza, perché la Parola chiamante di Dio continua a suscitare nella Chiesa vocazioni al matrimonio, al presbiterato, alla vita consacrata. Preghiamo perché tante ragazze e tanti ragazzi trovino in sé il coraggio del “per sempre”! A noi è chiesto solo di imparare da Maria, che ha saputo ascoltare la silenziosa, piccola voce dello Spirito e ha detto il suo “eccomi”. Diventeremo allora, per pura grazia, una Chiesa piccola e fragile ma viva e generativa, grembo di cammini nuovi e impensabili. Amen.
L’omelia del vescovo Calogero Marino
Il testo in pdf
Savona, centinaia di fedeli alla solennità della Madonna della misericordia
Il vescovo Marino: “Impariamo da Maria e diventiamo una Chiesa generativa”