Pentecoste, festa grande per i cristiani, memoria viva del dono dello Spirito, che Luca “dipinge” in At 2,1-11: “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo…e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.

Si compie così la promessa di Gesù il giorno prima di morire: “pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre”. Una presenza nuova, che rimane. “Per sempre”: perché l’Amore di Dio è fedele e indefettibile; anche quando i discepoli (e lo facciamo tutti ogni giorno!) tradiscono e se ne vanno.

Non solo. L’Amore di Dio è generativo. Diventiamo figli nel Figlio: “non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avere ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!”. Vivere da discepoli allora significa diventare figli ogni giorno: “di nascita in nascita, di cominciamento in cominciamento” (Gregorio di Nissa).

E infine, l’Amore di Dio è un amore d’intimità: “se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. La vera conversione non è impegno morale o sforzo della volontà, ma passare dal fuori al dentro, da un Dio di fronte a un Dio in me. Chiediamo la grazia di questa intimità e liberiamo dalla paura, frutto peggiore del peccato originale. Quella paura che è anche un alibi per tenere Dio fuori dalla nostra vita. Il cristiano del futuro o sarà un mistico, che vive l’avventura dell’intimità, o non sarà: “prenderemo dimora presso di lui”.