Scuola di Preghiera

SCUOLA DI PREGHIERA  •  MESE DI DICEMBRE

 

Che cosa è l’uomo?”

 

Salmo 8

 

O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,

con la bocca di bambini e di lattanti:

hai posto una difesa contro i tuoi avversari,

per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

Quando vedo il tuo cielo, opera delle tue dita,

la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi

il figlio dell’uomo, perché te ne curi?

Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,

di gloria e di onore lo hai coronato.

Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,

tutto hai posto sotto i suoi piedi:

tutte le greggi e gli armenti

e anche le bestie della campagna,

gli uccelli del cielo e i pesci del mare,

ogni essere che percorre le vie dei mari.

O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

 

Lectio

Il libro dei salmi è un libro che possiamo leggere come un “fiore” in mezzo ad altri fiori.

I salmi dal 3 al 14 sono una sezione di salmi con tema simile, con al centro il salmo 8:

  • dal salmo 3 al 7 si affronta il tema di Dio che non abbandona il giusto perseguitato
  • dal salmo 9 al 14 si esprime il grido a Dio del povero, malato e fragile, che non rimane inascoltato.

Sono quindi preghiere nel tempo della persecuzione e della povertà.

 

Il salmo 8, al centro di questa sezione, è generato dalla domanda al v. 5: “che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi il figlio dell’uomo, perché te ne curi?

La prima e ultima strofa sono identiche ed esprimono, in un processo inclusivo, la confessione di fede del credente nel nome di Dio “mirabile”. Un nome da guardare, da ammirare, nome di fronte al quale meravigliarsi. Quindi la domanda sull’uomo non è narcisistica, ma apre alla meraviglia per il nome di Dio, che è la sua potenza. Essa diventa un atto di fede.

Meditatio

  1. I salmi sono il libro delle domande, come tutta la Bibbia: domande dell’uomo a Dio e di Dio all’uomo. Sono le grandi domande che abitano il nostro cuore e che non dobbiamo temere, ma con le quali dobbiamo imparare a stare.

La Bibbia è anche il libro delle domande aperte: non ha fretta di rispondere, come la vita.

Anche Gesù faceva molte domande e spesso non rispondeva… non dobbiamo sempre rispondere alle domande che ci fanno. Dobbiamo imparare a stare in compagnia delle nostre domande e delle domande dell’altro.

L’uomo è l’unico “animale” che pone le domande su se stesso, sul senso della vita. L’animale è mosso dall’istinto, l’uomo è mosso dalle domande: quindi rimane uomo solo se continua a porsi domande.

Vediamo alcune di queste domande.

  • Nel salmo 144,3-4 troviamo una domanda che mette in luce la fragilità dell’uomo e l’atteggiamento di Dio che ha tempo, si prende cura, ha a cuore l’uomo stesso: “Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa”.
  • Nel libro del Siracide 17,7-10 l’uomo si pone la domanda sul suo compito nell’Universo:

“Quando l’uomo ha finito, allora comincia, quando si ferma, allora rimane perplesso. Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male? Quanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti, ma il sonno eterno di ognuno è imprevedibile a tutti. Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità”.

 

  • Nel libro di Giobbe 7,17-21 emerge invece l’aspetto drammatico del rapporto con Dio, tanto da chiederGli, nel momento del dolore, di distogliere lo sguardo dall’uomo: “Che cosa è l’uomo perché tu lo consideri grande e a lui rivolga la tua attenzione e lo scruti ogni mattina e ad ogni istante lo metta alla prova? Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la saliva? Se ho peccato, che cosa ho fatto a te, o custode dell’uomo? Perché mi hai preso a bersaglio e sono diventato un peso per me? Perché non cancelli il mio peccato e non dimentichi la mia colpa? Ben presto giacerò nella polvere e, se mi cercherai, io non ci sarò!”.

 

Quando ci poniamo queste domande, in fondo ci chiediamo: CHI SONO IO?

Nascono dall’esperienza della vita, dalla gioia e dal dolore, e non sono domande sull’uomo in generale, ma domande su di me: cosa ci sto a fare IO in questa vita?

Il salmo rende universale quello che ciascuno di noi vive. Capiamo, attraverso la preghiera, che non siamo soli a vivere questa esperienza.

  1. Nel salmo riconosciamo -nei versetti prima e dopo la domanda del v. 5- due movimenti:
  2. 1-4 dal cielo all’uomo e v. 6-8 dall’uomo ala cielo.

Questo ci dice che l’uomo è dentro la creazione, dentro l’universo. È una creatura di Dio, è un microcosmo dentro il macrocosmo. È un “canna sbattuta dal vento”, ma come diceva Pascal: “una canna che pensa”.

L’uomo è un mistero: “è una realtà imbevuta di divina presenza” (Paolo VI) e oggetto di tenerissima cura. È importante riscoprire questa dimensione dell’uomo. Egli non è solo un problema da risolvere, un enigma da interpretare. È innanzi tutto un mistero da accogliere.

IO sono questo mistero. In una società digitale, dove tutto è veloce, rischiamo di perdere la dimensione della meraviglia e dello stupore. Diamoci lo spazio per una sosta, per il silenzio, per stare nel gioco della domanda e della risposta.

  1. Un altro nome con cui la Bibbia ci invita a chiamare l’uomo è figlio. La nostra identità è un’identità di relazione. Ci conosciamo abitando una relazione: ecco chi è l’uomo!

Il nome “mirabile” di Dio è quindi Abba-Padre e il nome mirabile dell’uomo è figlio.

Il nome nuovo scritto sulla pietruzza bianca, di cui si parla nell’Apocalisse (2,17) è proprio questo: figlio. Dentro la creazione siamo l’unica creatura che ha questo nome.

Riconoscere, quindi, con meraviglia e gratitudine la nostra identità di figli e confessare che Dio è Padre della nostra vita, diventa preghiera.

Nel cuore di Dio c’è posto per tutti, non ho bisogno di prendere il posto dell’altro. Dio è l’Abba affidabile e pregare è mettersi nelle Sue mani.

Volersi bene significa voler bene al “tutto” di noi, che fa la nostra identità di figli e siamo chiamati a contemplare il nostro essere figli amati nel “tutto” di noi stessi.

La domanda, quindi, “Chi sono io?” trova risposta nella relazione con l’Altro.

Chi sono io?

Chi sono io? Spesso mi dicono

che esco dalla mia cella

disteso, lieto e risoluto

come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono

che parlo alle guardie

con libertà, affabilità e chiarezza

come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi dicono

che sopporto i giorni del dolore

imperturbabile, sorridente e fiero

come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?

O sono soltanto quale io mi conosco?

Inquieto, pieno di nostalgia,

malato come uccello in gabbia,

bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,

affamato di colori, di fiori, di voci d’uccelli,

assetato di parole buone, di compagnia

tremante di collera davanti all’arbitrio e all’offesa più meschina,

agitato per l’attesa di grandi cose,

preoccupato e impotente per l’amico infinitamente lontano,

stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,

spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io?

Oggi sono uno, domani un altro?

Sono tutt’e due insieme?

Davanti agli uomini un simulatore

e davanti a me uno spregevole vigliacco?

Chi sono io?

Questo porre domande da soli è derisione.

Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

 

(Dietrich Bonhoeffer, Da”Resistenza e Resa”)

SCUOLA DI PREGHIERA  •  MESE DI GENNAIO

 

Pietà di me, o Dio”

 

Sal 51 (50)

 

3 Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
4 Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.
5 Riconosco la mia colpa,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
6 Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;
perciò sei giusto quando parli,
retto nel tuo giudizio.
7 Ecco, nella colpa sono stato generato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
8 Ma tu vuoi la sincerità del cuore
e nell’intimo m’insegni la sapienza.
9 Purificami con issopo e sarò mondo;
lavami e sarò più bianco della neve.
10 Fammi sentire gioia e letizia,
esulteranno le ossa che hai spezzato.
11 Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
12 Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
13 Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
14 Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso.
15 Insegnerò agli erranti le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
16 Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza,
la mia lingua esalterà la tua giustizia.
17 Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode;
18 poiché non gradisci il sacrificio
e, se offro olocausti, non li accetti.
19 Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.
20 Nel tuo amore fa grazia a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme.
21 Allora gradirai i sacrifici prescritti,
l’olocausto e l’intera oblazione,
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

 

 

 

Lectio

 

Il salmo 51 ci permette di guardare il lato fragile della nostra vita. Insieme al salmo 50 compongono un dittico, ossia due momenti di una liturgia penitenziale:

  • Nel salmo 50, al v. 16 e ss. troviamo l’accusa di Dio, il dolore per il peccato dell’uomo, un “rimprovero” per il suo comportamento: Al malvagio Dio dice:Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che hai in odio la disciplina e le mie parole ti getti alle spalle?”
  • Il salmo 51 è la confessione del proprio peccato da parte dell’uomo.

Il salmo nasce in un particolare contesto e momento storico: quando il profeta Natan andò da Davide, che era andato con Betsabea. (Cf 2Sam 11-12).

Davide riconosce a voce alta il proprio peccato: e noi?

Possiamo dividerlo in 3 parti.

v.1-8: Riconoscimento del proprio peccato e del bisogno di essere salvati.

Si trova 6 volte il temine “peccato” o sinonimi: “il settimo peccato potrebbe essere il mio”, nel senso che la storicità del peccato nel salmo si apre alla realtà di ciascuno di noi.

  1. 9-14: Atto di fede che diventa preghiera e fiducia nel perdono.

Dio può fare di noi una cosa nuova, può salvarci. Si usa lo stesso verbo della creazione, per significare che il perdono è un ri-creazione per l’uomo, una nuova nascita.

  1. 15-21: Impegno della conversione, promessa di cambiare

Il perdono ricevuto avvia in me un cammino di conversione.

Meditatio

Il salmo mette in luce la radicalità del peccato, che ci riguarda tutti: siamo tutti Davide…

Il peccato originale raccontato in Genesi ci dice la profondità del peccato e le sue conseguenze.

Per l’uomo è un’esperienza drammatica, anche se in questa cultura anestetica c’è la tendenza a smussarne l’intensità…

Ma è un dramma anche nel cuore di Dio, tanto che per salvarci arriva alla radicalità del dono del figlio.

In questo contesto è importante parlare del Sacramento della riconciliazione.

È un sacramento difficile per ciascuno di noi, ma l’esperienza di Davide espressa nei 3 momenti del salmo, può diventare anche la nostra esperienza.

La confessione funziona quando riesco a tenere insieme il gratis del perdono e la fatica della conversione.

Siamo perdonati sempre, tutti, senza merito da parte nostra: è la gratuità di Dio, che però ci chiede il lavoro del CAMBIAMENTO su noi stessi.

Parlare della “macchia” del peccato che “si lava” è superficiale: noi siamo creature libere!

La confessione era definita anche il “battesimo delle lacrime”: lacrime del lavoro a cui siamo chiamati. La Penitenza non è qualcosa di banale: è la fatica della conversione. Proprio perché il perdono è gratuito, ci è data la forza di iniziare un percorso di cambiamento.

Il travaglio, la fatica della conversione, è il segno che cambiare è possibile e che Dio rispetta la nostra libertà e crede che possiamo cambiare.

In questo percorso è importante essere consapevoli della nostra fragilità di peccatori e recuperare anche altri gesti penitenziali, per i peccati meno gravi:

  • L’atto penitenziale all’inizio della Celebrazione Eucaristica
  • Il Padre nostro, che è preghiera di perdono
  • Piccoli gesti di misericordia e carità
  • Il pellegrinaggio al proprio fonte battesimale

Sono tutte forme penitenziali dentro cui il sacramento della riconciliazione ha una sua specificità. Il peccato grave, infatti, necessita di un colloquio in cui il sacerdote aiuta ad iniziare un cammino di conversione.

Il colloquio penitenziale, secondo un’indicazione che dava il Cardinale Carlo Maria Martini, potrebbe essere pensato in tre momenti:

  1. Confessio laudis: riconosco l’opera di Dio nella mia vita. Lodo Dio perché è stato buono, non mi ha abbandonato, è fedele nonostante il mio peccato… “se ci lamentiamo sempre e non ringraziamo mai, che figli siamo?”
  2. Confessio vitae: confessione dei propri peccati… qualche volta anche con le lacrime.
  3. Confessio fidei: atto di fede nella misericordia di Dio: sono certo che Dio mi perdona.

Importante, prima della confessione, è l’esame di coscienza.

Il sacramento non può essere vissuto “per caso”, ma cercato e voluto.

L’esame di coscienza potrebbe essere allora pensato come una verifica sull’amore dato e ricevuto:

  • Quanto ho amato oggi?
  • Quanto mi sono lasciato amare?

Due domande che possono aiutarci anche oggi a guardare la nostra vita per cominciare un cammino di conversione.

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